Giorno del Ricordo

Comunicato dell'Assessore alla Cultura Corrado Bartolomei in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo: Nell’impossibilità di commemorare anche quest’anno il Giorno del Ricordo come meriterebbe, il Comune di Loiano si limiterà a...
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10 febbraio 2021

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Comunicato dell'Assessore alla Cultura Corrado Bartolomei in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo:


Nell’impossibilità di commemorare anche quest’anno il Giorno del Ricordo come meriterebbe, il Comune di Loiano si limiterà a onorare la ricorrenza tramite i propri canali on line.

La data del 10 febbraio è stata istituita nel 2004 chiamandola il Giorno del Ricordo, con l’intento di onorare “la memoria di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre, degli istriani, fiumani e dalmati”.
Perché quella data? Il 10 febbraio del 1947 fu il giorno della firma del trattato di pace di Parigi, quando l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia gran parte della Venezia Giulia, l’Istria e parte della provincia di Gorizia, Fiume, Zara, la Dalmazia e le isole del Quarnaro; fu inoltre decretata l’internazionalizzazione di Trieste, che tornerà ad essere italiana a tutti gli effetti solo nel 1954.

Dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, i partigiani e l’esercito jugoslavo guidati da Tito, cercarono di riappropriarsi dei territori contesi con l’Italia.
Semplici persone, a volte intere famiglie, furono uccise per vendetta, pulizia etnica o anche solo per interesse: la logica era quella di togliere di mezzo quella classe dirigente che avrebbe potuto difendere l’italianità di quelle terre.
In tanti vennero infoibati o deportati nei campi sloveni e croati, dove in molti trovarono ugualmente la morte. I più fortunati trovarono salvezza nella fuga.
Cosa significa “infoibate”? Il termine deriva da "foiba" un termine dialettale giuliano a sua volta migrato dal Latino fŏvĕa, che significa fossa, buca, antro.
All’interno di queste fosse, buche, pozzi o fenditure carsiche, dette appunto “foibe”, furono di fatto gettati cadaveri, a volte assieme a persone ancora vive, legati tra loro con fil di ferro e così condannati a morire lentamente e atrocemente per le ferite riportate o per inedia.

Il clima di terrore che fu scatenato in quegli anni indusse la maggior parte della popolazione di lingua italiana a lasciare le loro case, la loro terra, per fuggire dall’orrore. Se ne andarono operai ed intellettuali, uomini delle istituzioni e contadini, alcune persone che si erano schierate a favore del fascismo, ma anche chi lo aveva strenuamente combattuto. Soprattutto la maggior parte era semplicemente gente normale.
Furono almeno 350.000 i profughi costretti ad abbandonare ogni cosa pur di aver salva la vita, affrontando l’incertezza del futuro derivante da un esodo di massa.
La maggior parte di quegli esuli scelsero di raggiungere l’Italia certi di essere ben accolti, ma trovarono invece un clima di ostilità e furono spesso letteralmente internati nei “centri di raccolta profughi”.

La tragedia che ha colpito la popolazione Giuliano-Dalmata è una pagina oscura della nostra storia e di quella dell’Europa dei popoli, purtroppo ancora troppo sconosciuta.
Abbiamo il dovere di non dimenticarla e di conservarne la memoria, affinché anche le generazioni più giovani siano educate ai valori della democrazia e ammonite contro i pericoli della violenza e della guerra, comprendendo, oggi più che mai, che le vittime non possono in nessun caso avere un diverso valore in funzione dell’etnia, della fede religiosa o dell’appartenenza politica.


Corrado Bartolomei
Assessore alla Cultura, Sport, Sicurezza, Protezione Civile

A cura di

Ultimo aggiornamento pagina: 10/02/2021 10:31:55

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